Il commercio delle “bare fiscali” – l’operazione di fusione
“Bara fiscale” è un termine volgare (e anche un po' macabro) con il quale si indica una società oramai decotta che porta in dote perdite fiscali oggettivamente riportabili nel tempo.
Specialmente con l’abolizione del limite temporale di cinque anni per poter compensare le perdite di un anno con i redditi dei futuri esercizi, forte è apparsa la tentazione di unificare i destini tributari di una società dotata di perdite fiscali riportabili con altra/e tendenzialmente nelle condizioni di produrre redditi.
In altre parole, la “bara fiscale” porta in dote all’altra società perdite che, una volta conclusa l’operazione di unificazione, potranno essere compensate in riduzione dei redditi della seconda, virtuosa.
Orbene il Legislatore ha inteso evitare che si intendesse porre in essere operazioni straordinarie preordinate al solo scopo di evitare la inutilizzabilità delle perdite fiscali pregresse facendole confluire in un più ampio contesto reddituale che ne permetterebbe l’utilizzo.
È anche per questo che si attribuisce la caratteristica di “potenzialmente elusive” a tutte le operazioni straordinarie di aggregazione aziendale: attenzionate dal Legislatore sono quindi la fusione, il conferimento e anche la scissione, così come altre costruzioni di maggiore complessità, comunque, potenzialmente preordinabili al raggiungimento di scopi finalizzati al risparmio fiscale.
Parlando di fusione l’idea del Legislatore tributario è chiara: la compensazione delle perdite pregresse con i redditi futuri può avvenire soltanto nella misura in cui la società in perdita che partecipa alla fusione abbia le caratteristiche per poter maturare redditi futuri in grado di poter assorbile le perdite pregresse “stand alone”, cioè senza la necessità di fruire per raggiungere detto scopo di risultati positivi delle altre società che alla fusione partecipano.
La norma di riferimento è l’art. 172 comma 7 del TUIR.
In tal senso la norma citata pone due tipi di limitazioni che riguardano tutte le società coinvolte nella operazione di fusione:
1. Superamento di un test di vitalità: il Conto Economico dell’esercizio che precede la delibera di fusione deve portare ricavi caratteristici e costi del personale pari almeno al 40% della media dei medesimi valori dei due esercizi precedenti.
2. Limite quantitativo: l’ammontare massimo delle perdite fiscali riportabili in epoca successiva alla fusione corrisponde al valore del patrimonio netto come risultante dall’ultimo bilancio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione (atto di fusione).
Il Consulente che si approcci all’operazione di fusione alla quale partecipa (con qualunque ruolo) una società portante perdite fiscali pregresse deve quindi ben valutare entrambe le fattispecie di cui sopra:
- la prima è una verifica esclusivamente quantitativa: si basa su dati consuntivi e quindi è facilmente eseguibile; il mancato superamento del test implica immediatamente l’impossibilità di prevedere compensazione futura tra perdite fiscali dell’una società con i redditi dell’altra.
- la seconda, una volta che la prima condizione è superata, risponde all’esigenza di individuare il limite massimo delle perdite riportabili ed implica, oltre ad un ragionamento di natura quantitativa, anche uno qualitativo. Nella determinazione del PN risultante dall’ultimo bilancio precedente all’atto di fusione non devono essere considerati i versamenti in conto capitale effettuati nell’ultimo biennio, ad eccezione di quelli finalizzati alla ricostituzione obbligatoria del CS. E ciò allo scopo evidente di evitare che la proprietà, conscia del limite quantitativo di cui alla seconda condizione normativa, si adoperi in anticipo per incrementare il valore del PN di riferimento.
Come se ne esce?
L’intento del Legislatore appare nobile e chiaro.
La norma è altrettanto chiara nello stabilire i limiti di an e quantum.
Ma come sempre, può capitare che il primo o il secondo test non siano superato sebbene l’operazione non sia effettivamente animata da intento elusivo.
In questo caso il Legislatore ha previsto la possibilità di disapplicare la norma di cui all’art. 172 comma 7 mediante preventiva presentazione alla DRE di competenza di un interpello disapplicativo nel quale si dimostri la natura non elusiva dell’operazione prospettata e il fatto che la società in perdita abbia realmente la capacità di rimediare alla attuale (o pregressa) condizione di antieconomicità che ha portato alla produzione delle perdite in argomento e che da sola sarebbe comunque nelle condizioni nel tempo di riassorbire le suddette perdite.
In altre parole, si deve dimostrare:
- che la società con perdite non è una “bara fiscale”;
- che l’operazione di fusione è preordinata a finalità diverse rispetto a quelle di mera natura fiscale e che risponde ad esigenze di aggregazione di spessore economico, strategico o industriale di maggior spessore.
Attenzione ai tempi
L’operazione di fusione, specialmente nelle forme più semplificate (e anche più frequenti) è un’operazione abbastanza semplice nella sua esecuzione e anche piuttosto breve.
Non è infrequente che dal deposito del progetto di fusione all’atto di fusione intercorra poco più di un mese.
La disapplicazione della norma di cui all’art. 172 comma 7, al contrario prevede inevitabilmente il parere positivo che la DRE competente potrà rilasciare dietro presentazione di interpello disapplicativo. Il tempo a disposizione della medesima DRE è di 120 giorni dal deposito dell’istanza di interpello, e non è infrequente che detto periodo sia completamente utilizzato dalla Agenzia.
Quindi, se l’esito positivo dell’istanza dovesse assumere valore fondamentale per l’esecuzione della fusione (in altre parole, se senza compensazione delle perdite fiscali la fusione potrebbe non essere così interessante) si consiglia di anticipare di un tempo congruo la presentazione dell’istanza di interpello prima dello start all’operazione straordinaria.
Alessandro Turini
Dottore Commercialista e Revisore Contabile